venerdì 27 maggio 2011

Il cittadino, la politica e la voglia di una svolta


C’è una quantità sempre più crescente di cittadini che non va a votare. La politica troppo spesso si concentra – dati elettorali alla mano – a sviscerare le possibili ragioni dei mutamenti percentuali del voto, senza talvolta comprendere la reale portata rappresentata dalla diminuzione, talvolta drastica, del numero dei votanti.
Sono in aumento, purtroppo, gli uomini e le donne che se ne infischiano volontariamente della politica e girano appositamente alla larga da tutto ciò che odori, anche alla lontana, di cosa pubblica. La confusione politica si è trasformata, negli anni, in disaffezione verso la politica; quest’ultima, ora, si sta trasformando in rigetto patologico della politica e delle sue “ritualità”.
La gente si è rotta le scatole di andare a votare: non perché recarsi al seggio sia una fatica immane, non perché tracciare una “x” con la matita copiativa sia uno sforzo disumano, non perché non ci siano persone oneste e normali che fanno politica. No, la gente si è rotta le scatole di andare a votare perché ritiene il proprio voto inutile: alla luce del fatto che troppo poco, ma troppo spesso, la politica dopo aver blandito il voto dimentica di tramutare le parole in fatti.
Alla lunga la gente, non essendo tutti i cittadini italiani dei cerebrolesi, si rende conto dell’inganno e agisce tentando di ribellarsi. Infatti, il non voto è – a detta di coloro che lo praticano – un gesto di ribellione per esprimere il moto di schifo profondo che si prova davanti ad una classe politica che talvolta si rivela davvero inaccettabile.
Eppure il “tasso di delusione” che il cittadino esprime non andando a votare rappresenta un’illusione vana e minima di ribellione: perché con il sistema democratico rappresentativo sul quale si basano i moderni Stati occidentali, l’unica arma bianca che resta potenzialmente in mano al cittadino è proprio la scheda elettorale.
L’unico gesto, silenzioso ma probabilmente efficace, che ancora ci resta da spendere per fare sentire a chi di dovere il nostro umore e le nostre idee è il gesto con il quale apponiamo la nostra “x” sulla scheda elettorale.
Può capitare, è inevitabile dati i tempi, che a qualcuno venga il mal di pancia nel segreto dell’urna: eppure per evitarsi un mal di pancia passeggero – magari non votando o facendo annullare la scheda – si rischia di incappare in mali ben peggiori.
Chi si riconosce, pur tra mille distinguo plurali e variegati, in quell’orizzonte spirituale, culturale e (talvolta) politico che possiamo ancora definire “di destra” deve badare bene ad una cosa: bisogna trovare il giusto punto di equilibrio tra un atto di ribellione, legittimo e talvolta lodevole, e un atto di resa alle forze sinistre più estreme, che certamente mai può essere in linea con la speranza di una patria più solida.
Quel che dobbiamo stampare bene, a caratteri cubitali, nelle nostre menti – che magari a vario titolo si rifanno comunque a quei tre concetti fondamentali ed eterni che sono, pur nelle loro mille declinazioni possibili, “Dio, patria e famiglia” – è che mai nella storia una ribellione fine a se stessa ha portato a dei risultati positivi. Il cambiare tanto per cambiare, solitamente, conduce diritti e filati ad esiti parecchio negativi.
E quindi che fare?
“Non lasciarsi andare, oggi è alla base. In questa società sbandata – scrisse Julius Evola – si deve essere capaci del lusso di avere carattere. Bisognerebbe esser da tanto che, ancor prima di essere riconosciuti come i difensori di un’ideologia politica, sia visibile una linea di vita, una coerenza interna, uno stile fatto di coraggio intellettuale, in ogni umana relazione”. Partire da se stessi, dunque, dalla difesa, dalla conservazione e dalla tradizione di quello in cui crediamo per poter giungere – puntando tutta la nostra attenzione sulla “qualità” della persona umana – ad una ribellione che non sia effimera e passeggera, ma che rappresenti proprio quella svolta che molti cittadini sognano e che potrebbe anche essere a portata di mano. A patto che ognuno di noi non lasci i remi in barca durante la bufera: perché in tal caso l’unica ribellione che avrebbe facile successo sarebbe quella dell’inconcludenza sull’intelligenza.

Emanuele Pozzolo

Nessun commento: