venerdì 24 dicembre 2010

Il Natale secondo Guareschi


“Per noi della vecchia generazione, pure disincantati da guerre e relativi dopoguerra, nonché da altre esperienze, – scrisse Giovannino Guareschi – il traguardo sentimentale d’ogni anno rimane il Natale. Natale è per noi la tappa annuale del lungo e duro cammino: l’albero frondoso all’ombra del quale, usciti dalla strada assolata e polverosa, ci fermiamo un istante per raccogliere le nostre idee, i nostri ricordi, e per guardarci indietro. E sono assieme ai nostri cari: i vivi e i morti. E nel nostro Presepino d’ogni Natale rinasce, col Bambinello, la speranza in un mondo migliore”.
E’ proprio così, come lo racconta la penna immortale di Giovannino Guareschi, che va il Natale.
E’ proprio così, come lo dipingono le parole del padre di Don Camillo e Peppone, che il Presepe delle nostre case riprende vita e senso, ogni anno che passa, senza mai passare di moda.
E’ proprio così, come tutti i nostri vecchi ci hanno insegnato, che il tempo del Natale prende forma e calore, anche in un mondo come il nostro troppo spesso abbagliato dalla fredda spocchia di coloro che sentono di non aver più bisogno del Natale.
Giovannino Guareschi era un uomo straordinario, un uomo nato in un’epoca sbagliata, un uomo d’altri tempi. Dietro ai sui baffoni e sotto le sue camicie a quadrettini si celavano il cuore e la mente di un uomo che non sopportava l’andazzo del progresso, di quel “porco progresso” che se ha “arricchito la vita materiale degli uomini” ha, al contempo, “impoverito, sino a distruggerla, la loro vita spirituale”.
Guareschi era un tipo che non le mandava a dire, era un italiano che ha sempre avuto il coraggio delle sue idee, era un cristiano che non badava troppo al pacifismo fine a se stesso. Si sentiva appartenente ad un mondo che vedeva lentamente sparire e, tra la chiesa, la casa e un bicchiere di vino rosso, Giovanni Guareschi ha dipinto con le sue parole un’Italia che spesso faceva ridere ma che ancora credeva. Una piccola patria, quella di cui ha scritto Guareschi, che anche se già dannatamente divisa aveva sempre, nel suo profondo, quel suo minimo comune denominatore rappresentato da quella semplice croce di legno che simboleggia l’identità cristiana della nostra Europa, della nostra patria e di ogni singolo nostro paese.
“Sono un reazionario, postero mio diletto, perché mi oppongo al progresso e voglio far rivivere le cose del passato. Ma un reazionario molto relativo, perché il vero bieco reazionario è chi, in nome del progresso e dell’uguaglianza sociale, vuol farci retrocedere fino alla selvaggia era delle caverne e poter così dominare una massa di bruti progrediti ma incivili”. Così, senza troppi giri di parole, Giovannino Guareschi descriveva se stesso, al di là di ogni noiosa retorica della mediazione e della tolleranza. Era un uomo tutto d’un pezzo Guareschi: un semplice padano mai disposto ai compromessi, tanto da finire diritto in galera pur di non abiurare le sue idee, i suoi valori e i suoi scritti. Ed in galera, effettivamente, Guareschi ci finì: per via del suo indomito spirito di scrittore d’assalto, senza paura di nessuno. Nel 1950 fu condannato al carcere per vilipendio al Capo dello Stato, Luigi Einaudi, e nel 1954 Guareschi venne nuovamente accusato di diffamazione per avere pubblicato sul “Candido” due lettere di Alcide De Gasperi risalenti al 1944, nelle quali De Gasperi chiedeva agli Alleati anglo-americani di bombardare la periferia di Roma allo scopo di demoralizzare l’animo del popolo italiano.
Insomma, Giovanni Guareschi fu un uomo coerente che ebbe sempre il coraggio delle sue azioni e delle sue parole. Ma oltre alla sua indomita attività giornalistica di Guareschi resta l’immagine di un grande padre di famiglia e di un uomo all’antica che sapeva scavare a fondo nel cuore degli uomini del suo tempo.
La forza di Guareschi era la forza di un cristiano che respirava l’aria di quel popolo – che è il nostro – che affonda la sua identità più vera proprio in quel Bambinello del Presepe. Perché da lì, e solo da lì, da quel Gesù appena nato che guardiamo nel nostro Presepe si trova molto del senso della vita.
E proprio a tal proposito Guareschi, un giorno, scrisse: “Il fatto è che noi tutti pensiamo al Natale come ad un giorno fuori dal calendario. Come ad un giorno fuori dal tempo. Natale è per noi tutti come un punto d’arrivo. E il nostro sogno è di arrancare tutto l’anno per poi arrivare a fermarci un po’. Come se, quel giorno, il tempo dovesse fermarsi. E invece non ci si può fermare mai, perché il tempo non si ferma. Basterebbe un minuto solo di sosta: ma questo non è concesso né ai vivi né ai morti perché l’eternità è un cerchio chiuso che incomincia sempre e non finisce mai. E’ qualcosa che continua senza aver mai cominciato e senza mai poter finire. E inconsciamente noi pensiamo a questo, quando arriva il Natale: e cerchiamo di spiegare la nostra immensa angoscia con banali motivi. Ma il fatto è che noi, in quel giorno, ci affacciamo per un istante sull’abisso dell’infinito e l’ammirazione per la grandezza di Dio non basta per noi uomini di non sufficiente fede a farci dimenticare la nostra infinita piccolezza.”

Emanuele Pozzolo

BUON NATALE A TUTTI E FELICE 2011!!!

martedì 14 dicembre 2010

Fini è finito


A furia di saltare di qua e di là, prima o poi, si cade male. E’ quello che oggi è capitato a Gianfranco Fini e ai suoi parlamentari: il gruppetto dei “finiani” non ha retto alla pressione politica e si è sfasciato. Gli ordini di scuderia del Presidente della Camera e del suo fido Bocchino non hanno avuto i risultati sperati: e così, il vano sogno sfascista di sfiduciare il Governo Berlusconi si è sciolto come neve al sole.
Gianfranco Fini aveva puntato tutto sulla spallata a Silvio Berlusconi: se fosse riuscito nell’impresa di far mancare la maggioranza parlamentare al Governo, Fini sarebbe entrato di diritto nell’olimpo dei grandi miti della sinistra. Così non è stato e il buon Gianfranco dovrà farsene una ragione.
Alla vigilia della tanto attesa conta, alla Camera dei Deputati, Fini ha riunito i suoi di Futuro e Libertà per fare il punto della situazione e serrare le fila. E sembra che abbia detto: “Se perdiamo distruggiamo tutto, la mia storia e la vostra”. Purtroppo per Mr. Tulliani il Parlamento è sovrano e – dando la fiducia al Governo – ha politicamente sepolto il “farefuturismo” dei finiani e dei ribaltonisti vari.
Gianfranco Fini non è un uomo stupido, è un cinico e un calcolatore: eppure stavolta il suo pallottoliere ha fatto cilecca. E assieme al pallottoliere finiano hanno fatto cilecca anche tutte oniriche speranze di costruzione di una non meglio precisata destra anti-berlusconiana e anti-leghista.
Il confuso progetto politico di Fini è abortito prima ancora di vedere la luce: e questa è una benedizione per la nostra terra. La voglia trasformista insopprimibile che albergava da qualche anno nel cuore del Presidente della Camera dovrà rimanere soltanto una voglia: e non troverà sbocchi realizzativi.
Con una splendida battuta il sociologo torinese Massimo Introvigne ha riassunto quello che poteva essere il dilemma dei “finiani”: “Potevano scegliere fra l'infamia e Berlusconi. Hanno scelto l'infamia e si tengono anche Berlusconi”.
E’ andata proprio così per i vari Bocchino, Granata, Briguglio, Rosso e Tremaglia: avevano innanzi a loro la possibilità di tradire i loro elettori, i loro valori e la loro stessa storia oppure proseguire a sostenere il Governo di cui, fino all’altro ieri, erano strenui supporters. I “tullianini” hanno preferito tradire fino in fondo, votando la sfiducia a Berlusconi: si sono comportati come un Casini e un D’Alema qualunque.
Eppure il loro tradimento è stato scandito dalle dolenti note della sconfitta: Silvio Berlusconi, l’asse del Nord e la maggioranza hanno retto. Quel che non ha retto, invece, è stato il gruppetto di Futuro e Libertà che è imploso alla prima prova parlamentare seria.
Era livido il voto di Gianfranco Fini appena dopo la lettura dei risultati della conta dei deputati: perché il novello leader dei “farefuturisti” e dei “bocchiniani”sa bene che politicamente è finito. Fini ha voluto fare il gradasso, alzare la voce e forzare la mano: ha voluto giocare a braccio di ferro con Silvio Berlusconi e con la Lega Nord ma è stato sconfitto su tutto il fronte.
Ora resta da vedere cosa capiterà tra i “finiani”: dopo i mal di pancia registrati prima del voto di fiducia e dopo i primi significativi smarcamenti di deputati, tra le fila di Futuro e Libertà, ora, bisogna capire chi sono e quanti sono i “finiani pentiti” che tenteranno ci accorrere piangenti ai piedi di Berlusconi. Di sicuro non sono pochi coloro che si staranno già mangiando le mani per il terribile passo falso commesso: abbandonare Berlusconi e andare con Fini per molti parlamentari eletti nel centro-destra era una scommessa sul proprio futuro politico. Gianfranco Fini ha comprato gli ingressi in Futuro e Libertà di gente come Roberto Rosso, Benedetto Della Vedova e Daniele Toto promettendo in cambio l’assicurazione sulle prossime candidature politiche: molti dei parlamentari “finiani”, dopo la batosta di oggi, vedono molto traballante la loro carriera e quindi non stupisce che già si vociferi a proposito di osceni ripensamenti e ennesimi salti.
La situazione romana resta comunque delicata: al di là dell’ottenimento della fiducia dal Parlamento, resta da vedere se con i numeri di cui dispone la maggioranza potrà lavorare per proseguire il cammino della riforme. Ma questa è tutt’un'altra storia: che riguarderà il domani del nostro paese. Con il voto di oggi l’Italia si è chiusa alla spalle (si spera definitivamente) la vecchia politica dei trasformismi di sinistra, di centro e di destra. Oggi da Roma è arrivata una bella notizia: Gianfranco Fini è finito.

Emanuele Pozzolo

domenica 5 dicembre 2010

Roberto Rosso, il volto della vecchia politica


Ho avuto modo di leggere la contorta lettera che l’amico Roberto Rosso ha inviato a qualche giornale per tentare di spiegare le vergognose capriole politiche di cui lui e i seguaci di Gianfranco Fini si stanno rendendo protagonisti.

Forse il noto esponente politico ex democristiano, ex dipietrista, ex referendario, ex forzitaliota ed ex pidiellino in questione, oggi riciclatosi come neo-finiano, ritiene che la gente abbia la memoria corta: eppure sono pochissimi coloro ai quali sfugge la parabola politica dell’on. Roberto Rosso.

Pochi, tra i cittadini vercellesi, dimenticano che Roberto Rosso è stato berlusconiano sino a quando gli ha fatto comodo; pochi dimenticano che Roberto Rosso ha addirittura ricoperto incarichi governativi, sempre e solo grazie a Silvio Berlusconi; e pochi dimenticano che Roberto Rosso ha giocato a fare l’alfiere dei valori cristiani sino a quando non gli è convenuto maggiormente abbracciare le istanze del laicismo finiano più turpe e deteriore.

Nessuno può dimenticare che Roberto Rosso, proprio lui, il “grande” cattolico che promosse l’astensione per far fallire il referendum sulla procreazione medicalmente assistita, oggi, si trovi nel partito fondato da Gianfranco Fini: ossia colui che criticò duramente le “ingerenze confessionali” volte a far fallire il referendum sulla legge 40.

L’esercizio della memoria è una nobile attività che certe persone dovrebbero avere la dignità e la decenza di applicare anzitutto a se stesse, prima di criticare la coerenza altrui. Proprio in tema di rettitudine valoriale vien da sorridere a leggere i “predicozzi catechistici” che Roberto Rosso rivolge alla mia persona: temo che il neo coordinatore regionale di Futuro e Libertà sia troppo abituato a guardare la pagliuzza che sta nell’occhio degli altri senza riuscire a vedere la trave che sta nel suo occhio.

Concludo queste poche righe di commento proponendo un fatto che, forse, non a tutti è noto: fatto che rende la vicenda relativa al “salto romano” di Roberto Rosso a metà tra il tragico e il comico. Circa tre mesi fa – il 2 settembre 2010 – sulle colonne de “L’Espresso” proprio Roberto Rosso, assieme ad alcuni suoi ex colleghi pidiellini, scriveva di “non aver mai espresso l’intenzione di aderire al gruppo politico dell’onorevole Fini” e che rinnovava la sua “più convinta adesione al gruppo politico” di cui faceva parte (Pdl) e, dulcis in fundo, esprimeva “la più ampia fiducia al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e al suo Governo”.

Oggi Roberto Rosso – aderendo a Futuro e Libertà – è riuscito, ancora una volta, a smentire se stesso: questa sua dote naturale sicuramente è stata molto apprezzata da Gianfranco Fini, il gran maestro di tutte le abiure. Per questo l’on. Rosso è stato ritenuto degno di conseguire “ad honorem” il titolo di “ras piemontese” di Fli: se lo è davvero meritato.

Emanuele Pozzolo