sabato 26 novembre 2011

Elogio superserio del Parlamento padano


Finalmente la politica italiana guadagna punti in serietà. Questo, signori, è indubbio.
C’è la crisi finanziaria che si sta sempre più facendo crisi economica, c’è una miriade di umili e silenziose famiglie sul lastrico, c’è un quintale di giovani allo sfacelo di un mondo senza prospettive. Ma la politica italiana – ruminando prebende e sogni elettorali – sta già preconizzando un futuro del tutto diverso.
Il passato, vecchio, sconquassato e puzzolente – quel passato fatto di gradevoli puttane e di simpatiche adunate, il passato berlusconiano – viene già messo nel cassetto tra i souvenir del bel tempo andato. Come diceva Giulio Andreotti, “in politica i tempi del sole e della pioggia sono rapidamente cangianti”: e così, infatti, muta veloce anche l’orrido fideismo di certi inutili ciambellani di corte che ambiscono a riciclarsi.
Cambiano i tempi ma con i tempi non cambia la misera natura umana: gente che fino a ieri – e dico ieri, massimo ieri l’altro – spergiurava sulla bontà della patrimoniale per risollevare le casse tricolori, oggi, straspergiura che invece, senza più Berlusconi in campo, la patrimoniale non s’ha da fare.
“Giammai!” starnazzano taluni: giammai inciuci coi governi tecnici, giammai ribaltoni con chi non è stato eletto, giammai modificare le maggioranze in corso d’opera. Peccato che gli starnazzatori – o almeno la più parte di essi – giusto poco più di un decennio fa diedero vita ad uno dei più eclatanti governi tecnici, diedero il là ad uno dei più vergognosi ribaltoni e cambiarono letteralmente di segno la maggioranza uscita dalle urne.
Non importa, qui, mettere il dito nella piaga per rimembrare gli interessi, poco nobili, che vi furono nel passato da parte di alcuni. Non importa, oggi, rivangare certe catastrofi politiche. Non importa misurare l’intelligenza e la tenuta politica dei contendenti. Solo una cosa ha senso e davvero importa: evitare di fingersi vergini caste quando si è delle baldracche fatte e firmate.
E mi scuso per la chiarezza cristallina delle mie parole: eppure io sono davvero felice di leggere che riaprono le porte del glorioso Parlamento padano. È questo che ci voleva!
Altroché ipotetiche riforme strutturali del sistema previdenziale, del mercato del lavoro e della legislazione tributaria: queste sono cosette folkloristiche e di dubbia incidenza sul reale. Serviva davvero una scelta politica, responsabile e disinteressata, che desse dell’Italia un’immagine positiva nel mondo: serviva, dico sul serio, riaprire questo Parlamento padano. Assolutamente.
Problemi legati all’immigrazione? Alla denatalità? Alla disoccupazione giovanile? Ma va là...sono solo parole. Servono altre cose. E vuoi mettere una riforma elettorale con il glorioso Parlamento padano? Dico, vorrai mica paragonare una riforma dello Statuto dei lavoratori con il Parlamento padano? Ma come potresti mai prediligere un bel taglio degli emolumenti parlamentari con la “frizzantezza” e la creatività del parlamentarismo padano?
Io sono fiero di essere italiano per uscite come questa. Quella del Parlamento padano potrebbe essere, a ben vedere, la migliore ricetta per arginare la crisi globale. Da fonti attendibilissime pare che nelle prossime ore si accrediteranno presso l’oligarchia padana numerosi generali dei Paesi nemici pronti a passare, armi e bagagli, nelle fila del glorioso esercito del Nord, oramai in procinto di riconquistare Nizza, Fiume e la Dalmazia.
È importante non essere disfattisti, immorali e traditori. Urge rimanere perfettamente incollati alla realtà. E secondo gli ultimi dispacci giunti dal fronte africano in primavera, forse, riusciremo ad entrare ad Addis Abeba. Pare che il generale De Calderolo voglia organizzare una sontuosa marcia sulla capitale etiope e voglia lavarsi i denti con uno spazzolino fatto con la barba del Negus.
Per tutte queste ragioni, assolutamente ed evidentemente, aderenti alla nostra vita di tutti i giorni dobbiamo brindare alla riapertura dell’ennesimo parlamento, dell’ennesimo troiaio e dell’ennesimo cimitero di idee. E ancora una volta, davanti a tutto questo spettacolo, ci tocca dare ragione a quel Benito Mussolini, che disse: “Il lavoratore che assolve il dovere sociale senz'altra speranza che un pezzo di pane e la salute della propria famiglia, ripete ogni giorno un atto di eroismo”.

Emanuele Pozzolo

sabato 5 novembre 2011

Cercasi avanguardie


Scrisse Nietzsche: "Non ho mai sentito dire che le flatulenze determinino situazioni filosofiche".
Scrisse una verità. Una verità attuale, anzi attualissima. Sono innumerevoli le flatulenze spirituali, politiche ed economiche che tentano disperatamente di influire sul corso del tempo attuale. Eppure goffamente annaspano.
La nostra società vive sconquassi tremendi, cedimenti strutturali e deflagrazioni violente: eppure ai vertici delle nostre cosiddette "democrazie" permangono dei personaggi inetti, incapaci e e ignoranti.
Il confronto coll'impero romano in decadenza si impone ad ogni analisi: l'odierno potere temporale si circonda di giullari benpensanti, di menstrelli sguaiati e di peripatetiche slabbrate. Mentre Roma brucia (e le provincie affumicano) questi personaggi continuano, imperterriti, a cantarsela e a suonarsela senza pietà. E senza decenza.
E non è solo dei vari piccoli imperatori dilettanti la responsabilità: siamo noi, tutti noi, i veri colpevoli.
Sì, perchè abbiamo troppo a lungo tollerato. E la tolleranza fine a se stessa non è una gran virtù.
Lo disse anche Gesù, scandalizzando i protodemocristiani ebrei: "Non sono venuto a portare la pace, ma la spada".
E' ora di sguainare quella spada spirituale che ognuno di noi ha dentro. E' ora di sguainarla e prepararsi alla battaglia.
Sì, lo so: quando si combatte è possibile vincere o perdere. Ma la sconfitta peggiore è la rassegnazione.
Quindi lasciamo le retrovie di questa politica di comodi assettamenti tattici, abbandoniamo il putrido cicaleggio del balbettio pseudo-democratico e gettiamo a mare le ultime indecisioni meschine. Sguainiamo la nostra spada!
Creiamo avanguardie, creiamo piccoli "cuib", creiamo minuscoli spazi di speranza in questo mare mediocrità.
Quello che può fare ognuno di noi, nel suo piccolo, non lo può fare nessun'altro al mondo.
E allora, certi che sono gli individui a fare la storia e non i branchi, accendiamo una fiamma di speranza. La questione, ora, non è se porsi di quà o di là: la questione di oggi è sapersi porre "oltre".
Al di là di tutto e tutti: servono delle avanguardie.
In ogni campo, in ogni spazio, al principio e alla fine di ogni riga scritta: serve coraggio, dignità e fermezza.
Così sì che si può dare un senso vero a qualcosa che non ha più senso, così sì che si possono ferire mortalmente gli avversari dell'intelligenza, così sì che, forse, (per dirla parafrasando De André) da questo letame potrebbero nascere dei fiori. I fiori dell'avanguardia.

Emanuele Pozzolo