sabato 14 maggio 2011

Contano solo le persone


È passata, tra gli sbadigli annoiati della gente e i soliti strali di certi politicanti, anche quest’ennesima campagna elettorale. Quel che rimane di tante musichette suonate per strada e numerosi discorsetti di circostanza è un dato piuttosto allarmante: la politica è malata.
C’è qualcosa che non va come dovrebbe andare nel grande meccanismo della politica moderna: si respira un’aria stantia e talvolta addirittura maleodorante in troppi ambienti politici o parapolitici. Qualcosa non va, questo è chiaro: lo capisce subito osservando l’indifferenza acuta ed esibita della gente verso tutto ciò che sappia, anche lontanamente, di politica.
Non ne può più la gente di questa politica fatta solo di slogan, di appuntamenti elettorali fondati sull’offerta gratuita del cibo e sul nulla assoluto in termini di idee e proposte. C’è un clima di disaffezione davvero troppo evidente per fingere che niente stia succedendo: saranno tanti, infatti, i cittadini che non andranno a votare.
L’atteggiamento del non voto però è un arma a doppio taglio: se è vero che starsene a casa potrebbe rappresentare uno “schiaffo morale” a questo perverso sistema pseudo-democratico, è altrettanto vero che andare a votare è l’unica arma – non violenta – che rimane utilizzabile per provare a cambiare le cose.
Il non voto è un atteggiamento piuttosto ipocrita e, in fin dei conti, abbastanza arrendevole: in un sistema come il nostro incide, politicamente parlando, chi partecipa, perché chi non partecipa non conta nulla.
Quindi, conti alla mano e data la situazione, andare a votare conviene ad ogni uomo e ad ogni donna che abbia anche solo un minimo di sale in zucca. Il mito che bisogna però sfatare è quello del voto come automatico strumento confermativo di una presunta “identità politica”: nel senso che troppi, oggi, confondono l’essere “di destra”, “di centro” o “di sinistra” come un requisito escludente un voto davvero in libertà.
In poche parole molti credono che l’appartenenza culturale ad un determinato orizzonte politico rappresenti un vincolo insuperabile per l’esercizio del voto: ergo, si ritiene che una persona “di destra” non possa che votare un partito sedicente “di destra”, così come una persona “di sinistra” non possa che votare un partito sedicente “di sinistra”.
La gente però, per fortuna, sta smettendo di farsi imprigionare da questo atteggiamento sostanzialmente imbecille: basti pensare a realtà regionali italiane dove la sinistra, addirittura nella sua declinazione più “rossa” possibile, ha rappresentato un punto di riferimento importante per quasi un secolo e oggi viene progressivamente “tradita” dai suoi stessi ex elettori per candidati più credibili.
La gente, detto in parole semplici, non vota più solo i partiti ma vuole guardare bene negli occhi le persone.
I simboli stampati sulle schede elettorali di per sé non danno garanzie: i simboli politici che offrono una vera garanzia agli elettori sono solo quelli che sono rappresentati da persone credibili e pulite.
Nessuno più si fida a firmare, con la propria “x” su di un simbolo, una delega in bianco ad un partito o ad una lista: perché nel caso di elezione ad occupare i posti di governo non ci va un simbolo ma ci va una persona. Ed è su quella persona che va posta l’attenzione degli elettori: perché sarà l’autonomia, l’onestà e l’intelligenza di quella persona ad incidere in modo concreto nelle dinamiche amministrative e politiche.
I partiti meritano credibilità non tanto e non solo sulla base delle rispettive “identità culturali”, ma soprattutto sulla presenza all’interno dei partiti stessi di persone autonome, oneste e (possibilmente) intelligenti.
A tal proposito Giorgio Gaber scrisse: “Destra, sinistra, centro sono etichette oramai scomparse. Esistono uomini di destra, di sinistra o di centro. Il superamento della forma partitica significa questo: concedere alla gente di votare le persone”. Aveva proprio ragione.

Emanuele Pozzolo

Nessun commento: