giovedì 1 luglio 2010

Quando il razzismo lo subiamo noi


Per vedere quali risultati sociali ha prodotto certo buonismo galoppante e certo anti-razzismo a senso unico non occorre teorizzare più di tanto: basta viaggiare su uno qualunque degli schifosissimi treni che ogni giorno percorrono i binari delle ferrovie italiane.
Al nostro viaggiatore, munito di biglietto regolarmente pagato e obliterato, potrebbe capitare – come è effettivamente capitato alle nove di sera, qualche giorno fa – sulla tratta Torino-Milano, di assistere ad una scena a dir poco allucinante.
Il controllore, svolgendo le funzioni per le quali è assunto e pagato, passa sedile per sedile a domandare l’esibizione del biglietto da parte dei viaggiatori: c’è chi il biglietto si è “dimenticato” di obliterarlo, c’è chi il biglietto proprio non ce l’ha e c’è chi, invece, ha tutte le carte in regola per proseguire il viaggio.
Questa ultima categoria umana di viaggiatori – va detto, per inciso – è in netta diminuzione.
Così facendo il controllore, generalmente, multa i passeggeri, o furbi o sbadati, che non hanno obliterato il biglietto e intima a coloro che il biglietto non l’hanno neanche mai avuto di prepararsi per scendere alla stazione successiva. Così funziona per tutti: anche sulla tratta ferroviaria Torino-Milano.
Eppure, di questi tempi, può capitare di assistere alla scena di un ragazzo negro che – invitato a prepararsi a scendere dal treno, in quanto non possessore del regolare biglietto – si scaglia, con urla e insulti animaleschi, contro il controllore. Fin qui, molti diranno, nulla di nuovo.
Di sicuro ci sono anche molti italiani che tentano di fare i “furbi” e viaggiare gratis sui mezzi pubblici. E’ vero. Ed è un dato che, spesso, proprio questi furbetti nostrani si fingano anche offesi quando qualcuno li scopre.
Ma la parte più interessante e, al contempo, preoccupante di questa storia è quanto il ragazzo africano ha detto, durante la sfilza di improperi urlati, al controllore italiano. E’ questo il punto centrale di tutta la vicenda. Perché, dopo aver alzato la voce e dopo essersi dichiarato vittima di discriminazione, il ragazzo dalla pelle scura ha pronunciato la seguente frase, sempre indirizzata al povero controllore: “Vai a fare in culo bianco di merda”.
Questo colpo di finezza da parte dell’africano è stato addirittura sostenuto, da risate compiacenti e volgari, da parte di un altro gruppetto di maghrebini, anch’essi pronti ad essere sbattuti già dal treno in quanto non muniti di biglietto. Il tutto è stato subito da parte del controllore italiano con nervoso silenzio: la violenza verbale dell’africano è stata dignitosamente ingoiata dal lavoratore italiano.
Ecco a che punto siamo arrivati: a furia di farci esami di coscienza “anti-razzisti”, a furia di calare le braghe, a furia di tollerare tutto e di più, ora, siamo noi ad essere vittime dirette, a casa nostra, del razzismo altrui.
“Bianco di merda”: è questa la parte più inquietante di tutta questa brutta storia. Perché è da queste parole che viene a galla l’odio che una buona fetta degli immigrati che vivono nelle nostre città covano verso di noi.
Noi abbiamo aperto le porte delle nostre patrie a gente che, troppo spesso, non ha nessuna intenzione di integrarsi con noi: troppi immigrati non nascondono la loro insofferenza per le nostre regole, per la nostra identità e, ora, pure per il colore della nostra pelle.
Pensiamoci fino a che siamo in tempo: smettiamola di giocare a fare i buonisti di professione perché un giorno non lontano potremmo pentirci amaramente del nostro lassismo e della nostra iper-tolleranza.
E’ ora di reagire: e non si venga a dire che sono casi isolati. Perché caso su caso si formano dei veri e propri comportamenti di massa. Se servono le maniere dure ebbene che queste maniere dure vengano applicate: la politica deve rendersi conto che il “multiculturalismo” è una chimera ridicola e pericolosa.
Troppi immigrati girano per le nostre città con l’atteggiamento dei “signori” a casa d’altri: credono fermamente di essere loro i padroni di casa nostra. Molti di questi immigrati, che noi abbiamo accolto nelle nostre città, usano le nostre leggi come se fossero rotoli di carta igienica: hanno capito che tanto a loro nessuno può fare nulla se no si rischia l’oramai infamante accusa di razzismo.
I professionisti del “politically correct” non si stancano di ricordarci che non dovremmo usare la parola“negro”, peraltro per nulla dispregiativa, per non offendere la sensibilità del primo africano giunto da noi. Eppure tutto questo “anti-razzismo” militante pare rivolto esclusivamente a tutela delle popolazioni immigrate africane, arabe e asiatiche. Perché noi dobbiamo sentirci definire “bianchi di merda”.
Paradossalmente la moda “anti-razzista” ha prodotto una nuova forma di razzismo: quella dei negri contro i bianchi, quella degli allogeni contro gli autoctoni, quella delle minoranze contro le maggioranze. Se non ci svegliamo, e subito, quello ci aspetta è un futuro in cui saremo ospiti a casa nostra.

Emanuele Pozzolo

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