giovedì 8 aprile 2010

No alla pillola Ru486, no all'omicidio in compressa


Si fa un gran parlare, negli ultimi giorni, della “pillola abortiva” Ru486: soprattutto dopo le recenti uscite dei Governatori leghisti di Piemonte e Veneto, Roberto Cota e Luca Zaia. Al di là delle dotte ed utili considerazioni mediche e scientifiche che è giusto sviluppare in merito a questo delicato tema, è necessario tentare di approcciarsi a queste problematiche anche dal punto di vista etico.
Cercando di stare al di là di ogni, pur importantissima, discussione religiosa è necessario partire da un dato scientifico assolutamente incontestabile: sin dal momento del concepimento si è di fronte ad una vita umana. Mente sapendo di mentire chi afferma che il feto è un semplice “grumo di cellule e di sangue”.
Partendo dalla conoscenza empirica di questo dato, comprendiamo perfettamente che ogni atto artificiale volto all’eliminazione della vita umana presente, fin dal momento del concepimento, allo stato embrionale nel grembo della donna è un atto oggettivamente qualificabile come omicidio.
Finché uno più uno farà due, l’embrione umano – in ogni fase del suo sviluppo temporale – sarà da considerare come vita umana a tutti gli effetti. E questo tipo di considerazione oggettiva – lo sottolineo – va ben oltre ogni tipo di dogmatismo confessionale: negare l’umanità della vita nella sua fase embrionale sarebbe come negare la conoscenza scientifica a cui l’uomo è giunto, dopo secoli di ricerca.
A nulla servono le convenzioni cronologiche secondo le quali la vita scatta, da un giorno all’altro, dopo una data scadenza temporale dell’embrione: evitiamo di prenderci in giro in modo consapevole.
Vediamo, piuttosto, di capire come è possibile tutelare al massimo – ed in modo cristianamente laico – la vita umana, in ogni sua fase ma anzitutto nella sua fase nascente: è fondamentale, in quest’ottica, spiegare che l’aborto non è l’extrema ratio dell’anti-concezionale, l’aborto è la soppressione volontaria di una vita umana.
Da questa considerazione, amara ma vera, è necessario partire per rieducare la società ad una responsabilità procreativa e ad un rispetto della vita umana che, va detto, oggi manca. Non è moralismo, non è bigottismo e non è nemmeno perbenismo di stampo borghese: se in nome del piacere edonistico e sessuale si pretende di poter, addirittura, avere il diritto di uccidere una creatura umana, allora, si è davvero toccato il fondo. E’ necessario ripartire: e per ripartire è essenziale rivalutare le basi legislative che rappresentano il fondamento di certi presunti diritti. La legge 194 – la normativa che, in Italia, regola l’interruzione volontaria della gravidanza – è frutto di una vecchia ed ideologica concezione dell’aborto, inteso come diritto delle donne e non come dramma della società ed omicidio di una giovane vita. Alla luce dello sviluppo scientifico e delle nuove conoscenze mediche che – dalla promulgazione della legge 194 fino ad oggi – l’umanità ha acquisito è eticamente e giuridicamente doveroso avviare una rivalutazione etica, giuridica e politica della normativa vigente, ad oggi, in Italia.
Soprattutto in un momento di confusione politica evidente, indotta dall’acceso dibattito nato in merito alla distribuzione della pillola dell’aborto facile e solitario, è necessario ripensare in chiave pro-life l’intero quadro normativo italiano in tema di tutela della vita nascente: è necessario ribaltare la visione dei diritti ponendo l’accento sulla tutela dei diritti della parte più debole. Non è giusto che un essere vivente in fase embrionale – dotato, come la scienza ci insegna, di tutte quelle caratteristiche biologiche utili a qualificarlo come “essere umano” – venga ucciso in nome di un ipocrita diritto all’autodeterminazione di un altro essere umano. Non basta essere più grandi e più potenti per poter aver più diritti degli altri esseri umani: se no si torna all’era delle caverne in cui vigeva la legge del più forte. Come anche i più grandi pensatori giuridici dell’illuminismo laico e liberale ci insegnano: la nostra libertà finisce dove incomincia la libertà di qualcun altro. Quel qualcun altro spesso può essere più piccolo di una mano, può non saper parlare, può non aver ancora mosso il suo primo passo: ma non per questo merita di essere ucciso senza considerazione e senza pietà. E’ una questione di umanità, di libertà e di uguaglianza. E’ una questione di diritti.

Emanuele Pozzolo
Capogruppo Lega Nord al Comune di Vercelli

1 commento:

Silvio ha detto...

Fondamentalismo cattolico della peggior specie.