sabato 13 febbraio 2010

Stop alle false pensioni di invalidità!

Una delle macroscopiche ingiustizie italiane è la gestione “allegra” delle politiche sociali: politicanti di bassa tacca, dagli albori dell’Italia repubblicana, gestiscono i fondi assistenziali dello Stato e degli Enti pubblici per foraggiare il loro orticello di consensi personali.
E’ così da sempre. Al Sud soprattutto: è inutile negarlo. Se al numero di pensioni di invalidità erogate dallo Stato corrispondesse nel Paese il medesimo numero di effettivi invalidi saremmo una nazione-lazzaretto. Troppi cittadini sfruttano l’immoralità e l’illegalità di parte della classe dirigente per sottrarre indebitamente fondi assistenziali allo Stato. E’ un circolo vizioso contro il quale non sono sufficienti gli strali etici di qualche osservatore: serve rafforzare le pene previste per il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. E soprattutto serve applicare con rigore e serietà le norme penali già esistenti volte al contrasto di frode fiscale e truffa ai danni dello Stato.
E’ una recente ricerca dell’Inps a segnalare che in Italia ben 13 pensioni di invalidità su 100 sono false: si tratta di un dato molto negativo per una duplice serie di ragioni.
Stando ad un’ analisi prettamente etica della situazione non si può che condannare senza appello un malcostume vergognoso che porta a sottrarre alle casse dello Stato ingenti quantitativi di denaro pubblico destinati ad essere erogati a cittadini che vivono situazioni di sofferenza. Da un punto di vista più politico, invece, viene a delinearsi con chiarezza la necessità di studiare – a margine del già accennato inasprimento sanzionatorio – una riforma radicale ed organica di tutto il sistema socio-assistenziale italiano.
Tale eventuale ed auspicabile riforma non potrebbe che essere caratterizzata da una forte impronta federalista, dove ogni tipo di sussidio assistenziale o previdenziale venga erogato in base a criteri e controlli regionali. Questo passaggio – peraltro giuridicamente già possibile con la riforma del Titolo V della Costituzione risalente al 2001 e oggi ancor più con la progressiva attuazione del federalismo fiscale – rappresenterebbe una svolta epocale e senz’altro assai positiva in un ottica di razionalizzazione della spesa pubblica e di miglior coordinamento delle politiche sociali.
La possibilità per ogni singola regione italiana di scegliere – sulla base di livelli essenziali di assistenza stabiliti in ambito nazionale – criteri, modalità e misure di interventi assistenziali meglio rispondenti alle peculiari esigenze di ogni territorio potrebbe essere la nuova frontiera delle politiche sociali italiane.
Gli enti nazionali come l’Inps costituiscono ad oggi dei veri e propri carrozzoni pubblici dalla dubbia efficienza e dall’ancor più dubbia economicità: meglio sarebbe la creazione di più snelli istituti regionali volti alla gestione di tutte le pratiche inerenti al settore assistenziale e previdenziale della regione stessa. Proprio lo sviluppo – accanto ad un compiuto disegno di federalismo fiscale – di una nuova modalità di gestione regionale delle politiche sociali potrebbe consentire di evitare, o quantomeno di porre un freno, all’eclatante malcostume del clientelismo. Inoltre, un nuovo sistema socio-assistenziale organizzato su base regionale consentirebbe di responsabilizzare maggiormente tutte quelle regioni in cui, misteriosamente, gli attuali interventi di carattere assistenziale erogati dallo Stato sono assai inflazionati rispetto al dato medio nazionale.
Ancora una volta la ricetta sta nel Federalismo che significa più responsabilità per i politici, più efficienza per le amministrazioni e più attenzione ai veri problemi dei cittadini.

Emanuele Pozzolo
Capogruppo Lega Nord al Comune di Vercelli

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