venerdì 24 giugno 2011

Ripartiamo dalla cultura


Articolo pubblicato su "La Padania" di mercoledì 15 giugno 2011

E ora ripartiamo, con fermezza e determinazione, alla riconquista del cuore degli italiani.
Ripartiamo dalla cultura, ripartiamo dalle idee: rimbocchiamoci le maniche delle nostre camicie per iniziare a costruire quella rivoluzione federalista e conservatrice che da troppo tempo attende di dispiegare tutta la sua forza.
Ragioniamo pure, giustamente, sull’opportunità di riformare l’assetto fiscale del nostro Paese: ma non basterà un semplice aggiustamento del prelievo fiscale a ridare tutto l’ossigeno necessario che abbisogna la nostra azione politica. “Meno tasse per tutti” è uno slogan che ha sempre esercitato un certo fascino, ma che in tempi di crisi è, forse, di complessa attuazione.
Vada come vada l’attuale dibattito sulla riforma fiscale, non è da lì che può formarsi un nuovo modo di fare politica: perché la gente ha incominciato a soppesare la “qualità” dei propri rappresentanti politici e ora attende un vero cambiamento.
Non interessano più i trucchi della vecchia politica, non piacciono più le cooptazioni dall’alto e vengono mal digeriti pure i leccaculo: è importante riuscire a capire il “perché” di certi errori del centro-destra per poter riuscire a ridare slancio ed energia alla parte politica in cui ci riconosciamo.
Dobbiamo ammettere che non è solo dei risultati governativi che si duole il nostro elettorato: danno fastidio certi atteggiamenti, danno fastidio certi personaggi, danno fastidio certi modi.
Per costruire un rilancio politico che non sia solo di facciata urge guardarci bene negli occhi e dirci esattamente quello che non va: al di là della piaggeria, cara solo a chi fa politica per un ritorno personale. Chi crede nella politica come missione spirituale e sociale non deve avere problemi a parlare chiaro: e ora è venuto il momento di esprimersi chiaramente.
Non servono più al centro-destra italiano certi pagliacci inconcludenti, non servono più i politicanti da segreteria, non servono più nemmeno i solerti assertori del nulla: serve dibattito, serve scontro di idee, serve cultura!
Il tempo degli slogan è inesorabilmente finito e ha lasciato dietro di sé solo rovine politiche: la politica ridotta a cabaret televisivo sta mostrando tutta la sua debolezza, la sua inefficacia e la sua imbecillità.
Ci sono troppi personaggi, senza cultura e senza idee, che fino ad oggi hanno vissuto alle spalle di un facile consenso raggruzzolato a suon di pagliacciate: questi personaggi politici (che di politico non hanno nulla) hanno saputo, forse, attirare verso sé qualche attenzione mediatica e molti voti di protesta. Ma oltre al “voto d’opinione” non si è saputi andare: ed ecco che oggi si evidenzia, in tutta la sua durezza, quell’amarissima realtà che induce a riflettere sulla scarsa tenuta culturale del nostro schieramento politico.
Per ripartire bisogna dare avvio ad una vera e propria “rivoluzione culturale” che sappia gettare solide basi pre-politiche per costruire un progetto nuovo e possibilmente duraturo: siccome l’epoca del personalismo è finita, è ora di mettere all’angolo tutti i duci e i “ducetti” che imperversano nella politica attuale. È ora di far spazio a chi ha qualcosa di serio da dire, è ora di far spazio a chi ha almeno un vago sentore di cosa sia la cultura, è ora di far spazio a chi non ha bisogno dell’emolumento per mangiare la pagnotta.
Perdonate la schiettezza, ma bisogna dirsi le cose in faccia: la gente non ne può più di assistere all’ascesa politica di personaggi che ignorano addirittura il significato stesso di “ignoranza”. C’è bisogno di un vero e proprio vento di cultura che soffi forte sul centro-destra italiano: per spazzare via il vecchiume. Sarà solo ripartendo dalle idee, sarà solo dibattendo su ogni questione politica, sarà solo sviluppando una compiuta “visione del mondo” che quei valori politici – magistralmente riassunti nel solo apparentemente vecchio “Dio, patria, famiglia” – potranno trovare una realizzazione concreta nella società.
Diamoci una sveglia e rimbocchiamoci le maniche, ricordandoci cosa scrisse Arthur Schopenhauer: “La società ci costringe ad assumere un atteggiamento paziente verso la stoltezza, la follia, l’ottusità; per contro, i meriti personali devono sempre nascondersi, oppure chiedere perdono, dal momento che la superiorità intellettuale ferisce per il semplice fatto di esistere”. È giunta l’ora irrevocabile di pensionare gli stolti, i folli e gli ottusi: perché la società e la politica hanno sete di normalità, di intelligenza e, possibilmente, anche di cultura.

Emanuele Pozzolo